Uno degli
elementi di maggior rilievo per la cultura della nostra terra nelle sue
peculiarità, e non solo, è il culto dei Santi. E’proprio in questi
momenti di festività che la grande metropoli così come il piccolo
paesino di campagna sono accumunati da una serie di pratiche e di
rituali che rendono uniti in uno stretto legame la tradizione religiosa
e del sacro con la cultura e le tradizioni popolari più profane.
Proprio
questo stretto legame e la portata di gente che queste ricorrenze
riescono a coinvolgere, in tutti gli strati culturali e sociali, hanno
da sempre incuriosito storici e antropologi. E’ difficile stabilire con
certezza gli anni esatti in cui il culto dei martiri si è consolidato
diventando pratica comune nel mondo della Liturgia romana anche perché,
come tutti i processi, ha richiesto un lungo periodo di stabilizzazione.
Non esistono
testimonianze certe fino al III secolo d. C., epoca in cui l’imperatore
Costantino dichiarò libero dalle persecuzioni il Cristianesimo con
l’editto del 313 d. C.
All’inizio del IV secolo sembrava trionfare il
Mitraismo ma la scelta strategica di Costantino a favore del
Cristianesimo fu dettata dalla difficoltà di conciliare l’esuberanza dei
riti e delle pratiche orgiastiche di quei culti pagani con l’equilibrio
intellettuale e morale che caratterizzava la formazione culturale delle
élites cittadine.
Il Cristianesimo, secondo la "brillante" intuizione di
Costantino, non solo era compatibile con il dirigismo teocratico
dell’imperatore, ma poteva addirittura diventarne un elemento di forza. |
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L’adesione
della Chiesa all’impero fu così rapida e piena, da andare al di là delle
aspettative dello stesso imperatore: essendo ancora "pontefice massimo"
del culto pagano Costantino si ritrovò a svolgere un ruolo decisivo
nelle controversie dottrinali che laceravano la comunità cristiana.(1)
In
questi anni prende sempre più forma una organizzazione autonoma della
Chiesa Romana come Stato "monarchico" a sé stante e la definizione di
una dottrina cristiana che sempre più si allontana dal Cristianesimo
nato in Oriente e che da Gerusalemme si era irradiato nel resto dei
territori.
La Chiesa di
Roma si dichiarava ormai autonoma, forte della sua missione di
evangelizzazione dei popoli barbari che avevano invaso l’Impero
d’Occidente (V sec. d. C.).
In questo nuovo contesto sociale e religioso
tipico del territorio italiano è indispensabile ricordare che la
convivenza, e talora il sincretismo, tra fede cristiana e credenze
pre-cristiane è molto tenace e sopravvive anche alla fine delle
persecuzioni e del grande conflitto culturale tra paganesimo e
cristianesimo. I banchetti funebri rientrano proprio in questa categoria
di riti "misti" celebrati dai cristiani come "culto dei martiri". Col
passare del tempo il culto dei martiri è stato trasformato dalla Chiesa
in "culto dei Santi" essendosi sviluppata la pratica delle "Reliquie".(2)
Ogni anno
nel "dies natalis", che per i cristiani è il giorno della morte,
la comunità cristiana si riunisce presso la tomba del martire, o in un
locale più ampio accanto a questa, per celebrare nella gioia il "refrigerium"
o pasto funebre al quale vengono unite delle letture, la preghiera,
l'Eucaristia.(3)
Uno sviluppo ulteriore del culto dei martiri nella
Liturgia romana avverrà al momento in cui esso verrà esteso ai
"cenotafi" cioè tombe votive senza il corpo del martire e alle
"reliquie", sia che indichino oggetti tenuti a contatto con i corpi o le
tombe dei martiri, sia vere e proprie parti dei resti mortali. Alla fine
del IV secolo, il calendario romano era già abbastanza completo(4): ogni
giorno dell’anno aveva una sua ricorrenza in aggiunta alla festività di
"Ognissanti" del primo novembre in cui si celebrano tutti i Santi.
Nella
Liturgia romana il ricordo e la preghiera dei martiri entra presto a far
parte della grande Preghiera Eucaristica, e il Canone Romano è testimone
di questa tradizione. Il legame del sangue dei martiri con l'Eucaristia
è testimoniato ancora dalla tradizione relativa all'altare nel quale fin
dall'antichità devono trovarsi incluse reliquie di martiri che vengono
portate solennemente in processione al momento della
consacrazione-dedicazione di una nuova chiesa.
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Nel tardo Medioevo il
culto e le processioni in onore di santi e martiri si arricchiscono e si
diffondono sempre più, soprattutto a livello locale, grazie al fenomeno
delle "ierofanìe" che la chiesa romana ha man mano riconosciuto.
Una "ierofanìa"
è la manifestazione della divinità, che consacra il luogo, il quale da
spazio profano è promosso a spazio sacro. Esso diventa
così il centro della religiosità popolare di una vasta area
culturale.
Tra le ierofanìe più comuni va annoverata la manifestazione,
ove il santo o, a partire dal XIII sec., sempre più spesso la Madonna
appare ad un dormiente o a uomini pii a lavoro e richiede che la
sua icona o statua venga portata in città o in paese e onorata
in cambio del cessare di epidemie o carestie. |
Solo dopo processioni e rituali si
fermeranno castighi divini. Sono nati così protettori/protettrici di
paesi, città, categorie lavorative ecc. Le ierofanìe sono alla base
delle pratiche di pellegrinaggi che nel corso degli anni si sono
moltiplicati e che la Chiesa Romana ha inglobato "mettendo ordine nel
caos delle visioni e conducendo le apparizioni fuori dall’ambito magico
ed eretico ed iscrivendole nel seno di Santa Romana Chiesa".(5)
Nonostante
l’opera di manipolazione della figura mariana nell’ambito teologico ed
ecclesiastico cattolico romano risulta ancora evidente in tanti di
questi pellegrinaggi e feste patronali una ambivalenza fra
l’amorevolezza della "Madonna" e le sue richieste crudeli legate spesso
a mutilazioni o veri e propri sacrifici umani (attualmente solo
rappresentativi).(6)
Più in
generale nei numerosi studi fatti sulle tradizioni sacre in Calabria e
sulle ierofanìe si riscopre sempre un collegamento con l’ambito funebre.(7)
Le caratteristiche comuni a la
maggior parte delle Feste patronali sono, oltre alla processione
della statua sulle spalle o su carri, la presenza di grandi
mercati fieristici (banchi di commercianti ambulanti che
invadono le grandi città come i piccoli centri, le date di
ricorrenza che di solito coincidono con l’apertura o la chiusura
di cicli agrari soprattutto nei centri rurali, il consumo di
interi pasti o dolci tipici di quella ricorrenza che devono
essere consumati per devozione e che hanno potere benefico, i
fuochi di artificio, gli addobbi luminosi per le vie del
centro, il legame soprattutto nei paesi
del Meridione con l’elemento vegetale (fiori ed alberi) che hanno un
potere terapeutico.(8) |
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Sarebbe
impossibile affrontare in maniera esaustiva, in questa sede, le
caratteristiche profane di ogni festa patronale e di tutti i
pellegrinaggi che si svolgono presso i Santuari dove si sono verificate
ierofanìe. Da quanto detto, però, è molto facile trarre delle
conclusioni. Gli elementi di forte mescolanza fra rituali pagani e
l’elemento sacro sono molto evidenti e provati storicamente.
Ogni vero
cristiano, che ne viene a conoscenza, non può continuare a d ignorare a
che cosa partecipa spiritualmente nel momento in cui decide di farsi una
passeggiata per le vie del mercatino fieristico o semplicemente, sotto
l’insegna del riunire la famiglia, sceglie di stare insieme al pranzo
festivo della ricorrenza patronale. Ricordiamo che il pranzo tipico di
tali ricorrenze non è altro che l’attuale "Refrigerium" o banchetto
funebre di origine pagana che si mescolò come usanza a quella di narrare
le gesta dei santi. Partecipare, quindi, significa offrire una sorta di
culto ai defunti.
La Bibbia,
inoltre, è ricca di riferimenti che invitano ad offrire esclusivamente
il nostro culto a Dio (Es. 20:3; Deut. 6:13; 1 Sam. 7:3; Is. 42:8;
Mat. 4:10; Luc. 4:8; Ap. 4:11) e a Cristo come solo mediatore fra Dio e
l’uomo (Mat. 2:2; 8:2; 14:33; Luc. 24:52; Atti 7:59; Ebr. 1:6).
Queste
scritture risultano chiaramente in contrasto con l’interpretazione data
dalla chiesa romana del verso 22 al capitolo 12 degli Ebrei il quale
parla sì di un’assemblea degli spiriti dei giusti resi perfetti alla
quale siamo riuniti, ma sicuramente non sposta l’asse di interesse e di
onore da Dio a l’uomo o ai martiri.
Tutto ciò va
al di là del semplice ricordare e prendere ad esempio dalla vita dei
Santi che hanno "combattuto il buon combattimento e hanno finito la
corsa" (II Tim. 4:7). Possiamo concludere affermando che partecipare
anche passivamente a tali ricorrenze implica una doppia conseguenza:
1. Disubbidire ad un chiaro
comandamento della Parola che richiede onore solo ed esclusivamente
a Dio nella sua Trinità;
2. Partecipare a pratiche
di magia e divinatorie che sono eredità di un passato pagano e di
cui non siamo pienamente a conoscenza (Deut. 18:10-12).
Riferimenti:
1.G. Vitolo, Medioevo Caratteri originali di un’età di
transizione pp. 10-15 , Ed. Sansoni.
2.G. Alberigo, Il cristianesimo in Italia pp. 26-27, ed. Laterza .
3.M. Lessi-Ariosto, Il culto dei Martiri nella Liturgia Romana p. 1.
4.Ibid. p. 2
5.F. Faeta, Questioni italiane Demologia, antropologia, critica
culturale p. 202, ed. Bollati Boringhieri
6.Ibid. p. 203
7.Ibid. p. 207
8.Ibid. p. 175