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di Paola Scasciamacchia

Uno degli elementi di maggior rilievo per la cultura della nostra terra nelle sue peculiarità, e non solo, è il culto dei Santi. E’proprio in questi momenti di festività che la grande metropoli così come il piccolo paesino di campagna sono accumunati da una serie di pratiche e di rituali che rendono uniti in uno stretto legame la tradizione religiosa e del sacro con la cultura e le tradizioni popolari più profane.

Proprio questo stretto legame e la portata di gente che queste ricorrenze riescono a coinvolgere, in tutti gli strati culturali e sociali, hanno da sempre incuriosito storici e antropologi. E’ difficile stabilire con certezza gli anni esatti in cui il culto dei martiri si è consolidato diventando pratica comune nel mondo della Liturgia romana anche perché, come tutti i processi, ha richiesto un lungo periodo di stabilizzazione.

Non esistono testimonianze certe fino al III secolo d. C., epoca in cui l’imperatore Costantino dichiarò libero dalle persecuzioni il Cristianesimo con l’editto del 313 d. C.

All’inizio del IV secolo sembrava trionfare il Mitraismo ma la scelta strategica di Costantino a favore del Cristianesimo fu dettata dalla difficoltà di conciliare l’esuberanza dei riti e delle pratiche orgiastiche di quei culti pagani con l’equilibrio intellettuale e morale che caratterizzava la formazione culturale delle élites cittadine.

Il Cristianesimo, secondo la "brillante" intuizione di Costantino, non solo era compatibile con il dirigismo teocratico dell’imperatore, ma poteva addirittura diventarne un elemento di forza.

Mitraismo e Cristianesimo


L’adesione della Chiesa all’impero fu così rapida e piena, da andare al di là delle aspettative dello stesso imperatore: essendo ancora "pontefice massimo" del culto pagano Costantino si ritrovò a svolgere un ruolo decisivo nelle controversie dottrinali che laceravano la comunità cristiana.(1)
In questi anni prende sempre più forma una organizzazione autonoma della Chiesa Romana come Stato "monarchico" a sé stante e la definizione di una dottrina cristiana che sempre più si allontana dal Cristianesimo nato in Oriente e che da Gerusalemme si era irradiato nel resto dei territori.

La Chiesa di Roma si dichiarava ormai autonoma, forte della sua missione di evangelizzazione dei popoli barbari che avevano invaso l’Impero d’Occidente (V sec. d. C.).

 

In questo nuovo contesto sociale e religioso tipico del territorio italiano è indispensabile ricordare che la convivenza, e talora il sincretismo, tra fede cristiana e credenze pre-cristiane è molto tenace e sopravvive anche alla fine delle persecuzioni e del grande conflitto culturale tra paganesimo e cristianesimo. I banchetti funebri rientrano proprio in questa categoria di riti "misti" celebrati dai cristiani come "culto dei martiri". Col passare del tempo il culto dei martiri è stato trasformato dalla Chiesa in "culto dei Santi" essendosi sviluppata la pratica delle "Reliquie".(2)

 

Ogni anno nel "dies natalis", che per i cristiani è il giorno della morte, la comunità cristiana si riunisce presso la tomba del martire, o in un locale più ampio accanto a questa, per celebrare nella gioia il "refrigerium" o pasto funebre al quale vengono unite delle letture, la preghiera, l'Eucaristia.(3)

 

Uno sviluppo ulteriore del culto dei martiri nella Liturgia romana avverrà al momento in cui esso verrà esteso ai "cenotafi" cioè tombe votive senza il corpo del martire e alle "reliquie", sia che indichino oggetti tenuti a contatto con i corpi o le tombe dei martiri, sia vere e proprie parti dei resti mortali. Alla fine del IV secolo, il calendario romano era già abbastanza completo(4): ogni giorno dell’anno aveva una sua ricorrenza in aggiunta alla festività di "Ognissanti" del primo novembre in cui si celebrano tutti i Santi.

 

Nella Liturgia romana il ricordo e la preghiera dei martiri entra presto a far parte della grande Preghiera Eucaristica, e il Canone Romano è testimone di questa tradizione. Il legame del sangue dei martiri con l'Eucaristia è testimoniato ancora dalla tradizione relativa all'altare nel quale fin dall'antichità devono trovarsi incluse reliquie di martiri che vengono portate solennemente in processione al momento della consacrazione-dedicazione di una nuova chiesa.

Processione Santo

Nel tardo Medioevo il culto e le processioni in onore di santi e martiri si arricchiscono e si diffondono sempre più, soprattutto a livello locale, grazie al fenomeno delle "ierofanìe" che la chiesa romana ha man mano riconosciuto.

Una "ierofanìa" è la manifestazione della divinità, che consacra il luogo, il quale da spazio profano è promosso a spazio sacro. Esso diventa così il centro della religiosità popolare di una vasta area culturale.

T
ra le ierofanìe più comuni va annoverata la manifestazione, ove il santo o, a partire dal XIII sec., sempre più spesso la Madonna appare ad un dormiente o a uomini pii a lavoro e richiede che la sua icona o statua venga portata in città o in paese e onorata in cambio del cessare di epidemie o carestie.


Solo dopo processioni e rituali si fermeranno castighi divini. Sono nati così protettori/protettrici di paesi, città, categorie lavorative ecc. Le ierofanìe sono alla base delle pratiche di pellegrinaggi che nel corso degli anni si sono moltiplicati e che la Chiesa Romana ha inglobato "mettendo ordine nel caos delle visioni e conducendo le apparizioni fuori dall’ambito magico ed eretico ed iscrivendole nel seno di Santa Romana Chiesa".
(5)

 

Nonostante l’opera di manipolazione della figura mariana nell’ambito teologico ed ecclesiastico cattolico romano risulta ancora evidente in tanti di questi pellegrinaggi e feste patronali una ambivalenza fra l’amorevolezza della "Madonna" e le sue richieste crudeli legate spesso a mutilazioni o veri e propri sacrifici umani (attualmente solo rappresentativi).(6)

 

Più in generale nei numerosi studi fatti sulle tradizioni sacre in Calabria e sulle ierofanìe si riscopre sempre un collegamento con l’ambito funebre.(7)

Le caratteristiche comuni a la maggior parte delle Feste patronali sono, oltre alla processione della statua sulle spalle o su carri, la presenza di grandi mercati fieristici (banchi di commercianti ambulanti che invadono le grandi città come i piccoli centri, le date di ricorrenza che di solito coincidono con l’apertura o la chiusura di cicli agrari soprattutto nei centri rurali, il consumo di interi pasti o dolci tipici di quella ricorrenza che devono essere consumati per devozione e che hanno potere benefico, i fuochi di artificio, gli addobbi luminosi per le vie del centro, il legame soprattutto nei paesi del Meridione con l’elemento vegetale (fiori ed alberi) che hanno un potere terapeutico.(8)

Fuochi d'artificio


Sarebbe impossibile affrontare in maniera esaustiva, in questa sede, le caratteristiche profane di ogni festa patronale e di tutti i pellegrinaggi che si svolgono presso i Santuari dove si sono verificate ierofanìe. Da quanto detto, però, è molto facile trarre delle conclusioni. Gli elementi di forte mescolanza fra rituali pagani e l’elemento sacro sono molto evidenti e provati storicamente.


Ogni vero cristiano, che ne viene a conoscenza, non può continuare a d ignorare a che cosa partecipa spiritualmente nel momento in cui decide di farsi una passeggiata per le vie del mercatino fieristico o semplicemente, sotto l’insegna del riunire la famiglia, sceglie di stare insieme al pranzo festivo della ricorrenza patronale. Ricordiamo che il pranzo tipico di tali ricorrenze non è altro che l’attuale "Refrigerium" o banchetto funebre di origine pagana che si mescolò come usanza a quella di narrare le gesta dei santi. Partecipare, quindi, significa offrire una sorta di culto ai defunti.

La Bibbia, inoltre, è ricca di riferimenti che invitano ad offrire esclusivamente il nostro culto a Dio (Es. 20:3; Deut. 6:13; 1 Sam. 7:3; Is. 42:8; Mat. 4:10; Luc. 4:8; Ap. 4:11) e a Cristo come solo mediatore fra Dio e l’uomo (Mat. 2:2; 8:2; 14:33; Luc. 24:52; Atti 7:59; Ebr. 1:6).

Queste scritture risultano chiaramente in contrasto con l’interpretazione data dalla chiesa romana del verso 22 al capitolo 12 degli Ebrei il quale parla sì di un’assemblea degli spiriti dei giusti resi perfetti alla quale siamo riuniti, ma sicuramente non sposta l’asse di interesse e di onore da Dio a l’uomo o ai martiri.

Tutto ciò va al di là del semplice ricordare e prendere ad esempio dalla vita dei Santi che hanno "combattuto il buon combattimento e hanno finito la corsa" (II Tim. 4:7). Possiamo concludere affermando che partecipare anche passivamente a tali ricorrenze implica una doppia conseguenza:


1. Disubbidire ad un chiaro comandamento della Parola che richiede onore solo ed esclusivamente a Dio nella sua Trinità;


2. Partecipare a pratiche di magia e divinatorie che sono eredità di un passato pagano e di cui non siamo pienamente a conoscenza (Deut. 18:10-12).

 


Riferimenti:

1.G. Vitolo, Medioevo Caratteri originali di un’età di transizione pp. 10-15 , Ed. Sansoni.
2.G. Alberigo, Il cristianesimo in Italia pp. 26-27, ed. Laterza .
3.M. Lessi-Ariosto, Il culto dei Martiri nella Liturgia Romana p. 1.
4.Ibid. p. 2
5.F. Faeta, Questioni italiane Demologia, antropologia, critica culturale p. 202, ed. Bollati Boringhieri
6.Ibid. p. 203
7.Ibid. p. 207
8.
Ibid. p. 175